Se amate la musica indie pop, avrete quasi sicuramente sentito parlare dei Cactus, la band emergente che sta conquistando il pubblico un sound originale e con delle canzoni ironiche ed allo stesso tempo graffianti.
I Cactus sono quattro ragazzi che hanno iniziato a suonare insieme per passione e divertimento, ma con tanta voglia di esprimersi e di raccontare la loro generazione. Dopo aver autoprodotto il loro primo EP “Ecchecactus!”, hanno lanciato il loro secondo lavoro “Made in Cina”, un disco che gioca con i cliché della società globalizzata e che li ha portati a calcare palchi importanti, condividendo il microfono con artisti del calibro di Eugenio in Via di Gioia, Dargen D’amico e Pietro Morello. Abbiamo incontrato i Cactus per conoscere meglio la loro storia, il loro stile e i loro progetti futuri, in una chiacchierata divertente e sincera, tra aneddoti, curiosità e riflessioni.
1. Iniziamo con il vostro nome intrigante. Come avete scelto "Cactus" e cosa rappresenta per voi? Siete gli spinosi del panorama musicale o avete una spiegazione più profonda?
C’è uno studio che dice che le persone assomigliano al proprio nome, anche se quando viene scelto i genitori ancora non possono saperlo. Con CACTUS è stato proprio così. L’abbiamo pensato frettolosamente perché suonava bene e perché volevamo spendere tanto tempo a suonare e poco a pensare a un nome, però poi abbiamo finito per assomigliarglici. I cactus sono piante che riescono a sopravvivere a lungo anche con pochissime risorse, vivono in ambienti ostili e si proteggono come possono. Ci sembra una buona metafora per una band nel panorama musicale degli anni ’20, e sicuramente rispecchia la nostra storia. Abbiamo collezionato più “No” che “Sì”, ma abbiamo fatto tesoro di ogni consiglio e non siamo solo sopravvissuti: siamo cresciuti.
2. Il vostro Tour del Cactus organizzato dai fan è stata una mossa davvero originale! Ci raccontate qualche aneddoto interessante o strano che vi è capitato durante quest'avventura organizzata dai vostri seguaci?
È un progetto che abbiamo portato avanti per due estati di fila ed è stato sorprendente in mille modi. In Liguria ci hanno accolto con un sacchetto di focaccia e post concerto siamo andati al mare di notte con alcuni fan. A Bielmonte abbiamo raggiunto il palco con un bob su rotaie. Abbiamo suonato sotto la pioggia a Siena e sotto gli irrigatori a Genova. Di aneddoti non ne sono mancati. È stato una botta di vita e di realtà: un controsenso pensando che è partito tutto da un video, da un’idea. La vera sorpresa però è stata conoscere dal vivo quelle persone che ci sostenevano da dietro uno schermo e scoprire che avevamo amici sparsi in tutta Italia.
3. “Made in Cina" è il titolo del vostro secondo EP. Oltre a far riflettere sulla globalizzazione, c'è un significato più personale o divertente dietro questa scelta? Avete un aneddoto curioso legato alla creazione di questo EP che potete condividere con i vostri fan?
Il titolo è tratto da una frase di una nostra canzone, che parla di come i sogni di grandezza che avevamo da bambini a volte stonino un po’ con ciò che si concretizza da adulti, sembrano un po’ la versione Made in Cina – come quando nostra mamma ci comprava la Nutella tarocca per dire. Il nome diventò poi anche il concept per la copertina e i CD, tutti scritti a mano da noi, ognuno diverso e con scritte barrate per imitare i CD rimasterizzati di una volta. Fu anche un po’ un fare di necessità virtù, perché ancora una volta, non abbiamo budget, però siamo ricchi di idee!
Un aneddoto è che l’idea del nome la dobbiamo anche a Marco Paganelli, produttore dei PTN con cui abbiamo realizzato l’EP, e che altrimenti l’EP si sarebbe chiamato “Reggetevi ai sostegni” – il perché non ve lo sappiamo dire neanche noi. Nel suo studio abbiamo imparato moltissimo su come si scrive una canzone e senza di lui i CACTUS suonerebbero un po’ meno CACTUS.
4. Avete condiviso il palco con artisti del calibro di Eugenio in Via di Gioia, Dargen D'amico e Pietro Morello. Immaginiamo che ci siano state tante interazioni divertenti e belle dietro le quinte. Qual è stata l'esperienza più forte che avete vissuto e condiviso durante un concerto con questi artisti?
Il concerto con gli Eugenio in Via di Gioia è qualcosa che ci porteremo dentro per sempre. Ci ha insegnato che a dividerci dai grandi palchi è solo l’opportunità, e ci ha spronato a dare il mille per cento per procurarcela. Non dimenticheremo mai l’adrenalina di Eugenio quando a fine concerto, prima dell’ultima canzone, è arrivato nel backstage a stringerci la mano dicendo “Ora c’è il gran finale! Dai dai dai!”. In quegli occhi e in quella felicità abbiamo visto tutto ciò a cui aspiriamo, e da lì abbiamo fatto un contratto con noi stessi di raggiungere quell’obbiettivo.
5. La collaborazione con Maniviola nasce sui social, come avete gestito la transizione da commenti e storie su Instagram a una collaborazione musicale? Qual è stata la scintilla che ha fatto scattare l'idea di creare insieme una canzone?
Diciamolo, fare contenuti social è come minimo imbarazzante, bisogna rischiare di mettersi in ridicolo e testare un sacco di idee destinate a fare poche views. Trovare degli amici aiuta quindi molto. Si provano più cose, ci si scambia consigli e si cresce insieme, prendendo un po’ più di coraggio davanti alla telecamera. Per noi con Maniviola è stato così. Forse non erano tanti i musicisti indie su TikTok nel 2020, o forse l’algoritmo aveva deciso di farci conoscere, fatto sta che dopo pochi video abbiamo iniziato a sostenerci a vicenda e a scambiarci aneddoti e consigli riguardo la nostra vita da musicisti/creator. Sono stati poi i fan a commentare più volte i nostri video con “Vogliamo un feat.”. Ci abbiamo messo due anni, ma alla fine è arrivato.
6. La vostra musica, pur avendo sound diversi, rientra sotto l'ombrello dell'Indie. Come avete bilanciato le vostre influenze musicali diverse per creare un brano coeso? Ci sono state sfide particolari nel fondere stili musicali così differenti?
Se la scrittura è stato un processo molto naturale, dove Riccardo ha basato le sue strofe sull’idea pensata da Maniviola, l’arrangiamento si è dimostrato più complesso. L’ukulele e il kazoo sono strumenti iconici dello stile di Maniviola, ma non classici elementi nel repertorio di Mattia, arrangiatore dei CACTUS. Non ci siamo però posti nessun limite, nessun vincolo creativo in nome delle playlist: come un bambino di due anni che si vuole vestire da solo a costo di fare pasticci, “Meglio degli altri” ha scelto da sè il proprio eccentrico genere musicale. Il risultato è stato un assolo di kazoo, su un ritmo raggaeton, con contorno di fiati. Una follia? Probabilmente sì.
7. Guardando al futuro, cosa possiamo aspettarci dal Cactus nel prossimo anno? Ci sono progetti segreti o collaborazioni insolite in cantiere che potete anticiparci?
Come dice la nostra prossima canzone, speriamo sia un anno pazzesco. Nessun segreto però. Abbiamo passato un anno in silenzio ad aspettare di pubblicare nuova musica, ora abbiamo bisogno di meno suspence e più volume. Ci sono diverse canzoni pronte e non vediamo l’ora di farle ascoltare a chi ci segue.
8. Lasciateci con un saluto ai lettori di musicatonica e con una vostra citazione
Grazie alla redazione di Musicatonica per la bellissima chiacchierata e grazie a te se ci hai letto fino a qui, per noi non è affatto scontato. Noi siamo i CACTUS, la band dell’indie felice, e quindi ci teniamo a salutarti con un messaggio positivo: non avere paura di buttarti nelle cose, perché noi, dopo una vita di timidezza e impaccio, abbiamo capito che la tristezza è il contrario del coraggio.
Ringraziamo i Cactus per la loro disponibilità e simpatia e li aspettiamo presto sui palchi di tutta Italia.
INSTAGRAM: https://www.instagram.com/labandelcactus/
SITO WEB: https://labandelcactus.it/
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